Concetti come “diversificazione” e “bilanciamento rischio-rendimento” sono oggi pilastri del buon senso finanziario. Sembrano verità eterne, quasi ovvie. Ma se vi dicessi che questo “buon senso” non è sempre esistito? Che ha un’origine precisa, un punto di svolta documentato in un articolo accademico di poco più di quindici pagine?
Nel marzo del 1952, un giovane ricercatore di nome Harry Markowitz pubblicò sul Journal of Finance un saggio intitolato “Portfolio Selection”. Quel testo fu la scintilla che trasformò l’investimento da un’arte, un mondo dominato dal “fiuto per gli affari”, da intuizioni personali e dai segreti dei titani di Wall Street, a una scienza rigorosa.

Markowitz, con grande lucidità, divise il processo di investimento in due fasi: la prima consiste nel formare delle “convinzioni” sul rendimento futuro dei titoli; la seconda, nell’usare quelle convinzioni per scegliere il portafoglio migliore. Dichiarò che il suo lavoro si sarebbe concentrato esclusivamente sulla seconda fase: non una formula magica per predire il futuro, ma un framework razionale per agire una volta fatte le proprie analisi.
In questo post, distilleremo le tre lezioni più potenti e contro-intuitive del suo lavoro, idee che non solo gli valsero il Premio Nobel per l’Economia nel 1990, ma che ancora oggi costituiscono le fondamenta di qualsiasi strategia di investimento intelligente.
1. La regola più ovvia è sbagliata: Perché massimizzare solo i rendimenti non funziona
Prima di Markowitz, l’investimento era un’arte guidata da una regola disarmante nella sua semplicità: scegliere i titoli che promettevano il rendimento più alto. Sembrava logico. L’obiettivo era guadagnare, quindi si puntava a ciò che offriva di più.
Markowitz sferrò il primo attacco scientifico a questo dogma. Con un argomento potente, dimostrò che se l’unico obiettivo fosse massimizzare il rendimento atteso, la conclusione logica sarebbe investire il 100% del proprio capitale in un unico titolo: quello con il valore atteso più elevato. Questa era una critica devastante, perché la regola fondamentale dell’investimento “artigianale” portava a una conclusione palesemente irrazionale e contraria al comportamento osservato di qualsiasi investitore sensato. Perché nessuno sano di mente metterebbe tutti i propri risparmi in una singola azione, anche se promettente? La vecchia regola non aveva una risposta. Come scrisse Markowitz con logica inappellabile nel suo saggio:
La diversificazione è sia osservata che sensata; una regola di comportamento che non implichi la superiorità della diversificazione deve essere respinta sia come ipotesi che come massima.
Rifiutare la vecchia regola, tuttavia, era solo il primo passo. Se mettere tutto sul cavallo con il rendimento più alto era sbagliato, Markowitz doveva fornire un’alternativa scientifica: una nuova teoria della diversificazione.
2. Diversificare non è avere tanti titoli, ma i titoli giusti
Il vero genio di Markowitz non fu solo raccomandare la diversificazione, ma definirne il funzionamento in termini scientifici, sostituendo l’intuizione con uno strumento di misurazione. Dimostrò che possedere tanti titoli non basta a ridurre il rischio.
Il concetto chiave che introdusse fu la covarianza. Questo fu un passaggio radicale: l’attenzione si spostava dall’analisi di un’azienda in isolamento alla sua relazione statistica con tutte le altre. In termini semplici, ciò che conta per ridurre il rischio non è quanti titoli si possiedono, ma come i loro rendimenti si muovono l’uno rispetto all’altro.
Se possedete due titoli dello stesso settore che tendono a salire e scendere insieme (alta covarianza), averli entrambi non riduce il rischio complessivo. Quando uno crolla, è probabile che lo faccia anche l’altro. Se, invece, combinate titoli i cui movimenti sono scorrelati o addirittura opposti (bassa o negativa covarianza) — come un’azienda di gelati e una di ombrelli — potete smorzare significativamente la volatilità totale del portafoglio.
Questa è la diversificazione “intelligente” di Markowitz: diversificare tra settori con caratteristiche economiche differenti, perché le loro aziende hanno maggiori probabilità di avere basse covarianze. La gestione del rischio non riguarda più il numero di asset, ma la comprensione scientifica delle loro interrelazioni.
3. L’investimento non è un’arte, è una scienza (del rischio)
Con i primi due punti, Markowitz aveva smantellato la vecchia arte e fornito il primo strumento della nuova scienza. Nel terzo, costruì l’intero edificio teorico. Trasformò la selezione di un portafoglio in un problema di ottimizzazione.
Lo fece formalizzando i concetti di rischio e rendimento con il linguaggio universale della statistica:
- Rendimento atteso (Expected Return): La media ponderata dei possibili risultati di un titolo.
- Rischio (Risk): Smetteva di essere una sensazione astratta per diventare un numero misurabile: la varianza, ovvero quanto i rendimenti di un titolo tendono a disperdersi o a “ballare” attorno alla loro media.
Con questi due mattoni, costruì il concetto di “frontiera efficiente”. È l’insieme di tutti i portafogli “razionali”: quelli che offrono il massimo rendimento possibile per un dato livello di rischio o, al contrario, il minimo rischio possibile per un dato livello di rendimento.
L’impatto di questa idea fu epocale. Per la prima volta, la scelta di un portafoglio non era più una questione di congetture o fortuna. Diventava una decisione analitica e consapevole, in cui l’investitore poteva scegliere su una curva scientifica il compromesso tra rischio e rendimento più adatto alle proprie, personalissime preferenze. La teoria degli investimenti era stata democratizzata. Era nata la finanza moderna.
Conclusione: La Tua Strategia è Arte o Scienza?
Le tre idee di Markowitz — che massimizzare solo i rendimenti è un obiettivo errato, che la vera diversificazione si basa sulla gestione della covarianza e che l’investimento è una scienza dell’ottimizzazione del rischio — segnarono la trasformazione irreversibile della finanza da arte a scienza.
Questi principi, formulati nel lontano 1952, non solo hanno gettato le basi per gli strumenti che usiamo oggi, come fondi comuni ed ETF, ma hanno dato origine all’intera architettura teorica della finanza moderna, inclusi il Capital Asset Pricing Model (CAPM) e la teoria dell’efficienza dei mercati.
Ci pongono una domanda fondamentale. Guardando al vostro portafoglio oggi, state semplicemente collezionando titoli sperando nel migliore dei casi, o state gestendo attivamente le loro interrelazioni in modo scientifico, proprio come Markowitz ci ha insegnato più di 70 anni fa?



